Monsignor Ottorino Pietro Alberti commemora Padre Clemente Pilloni
L'omelia dell'Arcivescovo
Il 23 novembre 2002, S.E. Mons. Ottorino Pietro Alberti, Arcivescovo di Cagliari, ha presieduto la Celebrazione Eucaristica funebre in suffragio di Padre Clemente Pilloni, Francescano Cappuccino.
Nella Sua omelia si è fatto interprete dei sentimenti degli oltre cinquecento convenuti, tra cui varie decine di Sacerdoti.
Venerati Confratelli nel Sacerdozio, cari Diaconi, sorelle e fratelli carissimi.
Se non fosse per la coscienza di un dovere, mi verrebbe più naturale, in un'occasione come questa, tacere e affidare ad una silenziosa preghiera i sentimenti di affetto profondo per il caro, carissimo Padre Clemente; affidare la riconoscenza ed esprimere l'ammirazione della Chiesa Cagliaritana e dell'intera famiglia Francescana dei Padri Cappuccini a cui appartenne, per l'esemplarità della sua vita, per il bene che ha fatto, come anche il dolore e la commozione per la sua morte, provvidenzialmente avvenuta proprio alla vigilia di quella che era per lui di festa.
Oggi è San Clemente e lo ricordava nella sua grande umiltà e semplicità, lo ricordava con compiacimento.
Eravamo così abituati alla sua attenzione, al suo giudizio, al senso della sua sempre amabile presenza, che ora che egli non c'è più a vedere e sentire quel che facciamo, ad arricchirlo del suo pensiero, dei suoi consigli, a illuminarlo e sostenerlo con la forza delle sue speranze e della sua volontà, sembra che altro non dovremmo esprimere se non la silenziosa tristezza per una perdita che in primo luogo è di coloro che vissero vicino a lui, i suoi Confratelli, e rimpianto per le nostre vite impoverite di una luce che era solo sua, di una gentilezza d'animo di cui non è facile trovare l'eguale, di una operosità, di un fervore, di una capacità di dedizione e di sacrificio che costituiranno il nostro perenne ricordo.
Ma sentiamo anche la necessità, in un momento come questo, in cui non si può e non si deve sfuggire ad un esame di coscienza e a un chiarimento di intenzioni, di cercare di spiegarci quale sia stato il senso della sua vita e della sua opera, con quale spirito abbia vissuto la sua vocazione di Francescano.
Questo perché, dalla trama fitta di quei tanti interessi e delle sue iniziative, si possa ricavare quella lezione di vita che ci ha lasciato come messaggio, come preziosa eredità.
Vedete, se parlo del Padre Clemente, non è per tesserne un elogio funebre e non è il momento, ma solo per verificare come e quanto in lui abbia trovato una piena e felice incarnazione l'ideale Francescano e la realizzazione della sua vocazione di Sacerdote.
Non posso sottrarmi alla lettura, seppure rapidissima, di una scheda biografica di Padre Clemente. Nato ad Iglesias l'8 luglio del 1927, frequentò prima il Seminario Diocesano di Iglesias e poi entrò in convento il 10 luglio 1951, fece la Professione solenne, quindi continuò i suoi studi filosofici e classici ad Oristano, poi gli studi Teologici a Sassari. Fu ordinato Sacerdote a Cagliari il 3 luglio 1955. Poi cominciò il suo apostolato occupando tanti uffici, in tanti luoghi. Da Laconi, dove fece il Vice Parroco, fu mandato a Iglesias, poi a Sassari e a Mores.
Nel 1966 fu incaricato di quello che è l'ufficio che lui amava con particolare sentimento, con particolare intensità, quello di Vice Postulatore per la causa di Beatificazione del Servo di Dio Fra Nicola da Gesturi, per la cui Beatificazione tanto si adoperò.
Fu poi mandato a Cagliari. Nel 1971 fu nominato Guardiano a Sanluri, dove fu anche Direttore del Seminario e Direttore della Rivista Voce Serafica
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Poi ancora a Sanluri. Da Sanluri fu poi inviato a Cagliari, incaricato del servizio del Santuario e qui rimase fino al giorno della sua morte, proprio alla vigilia della sua festa onomastica, che certamente solennizza in maniera singolare, direi perfetta, e nella maniera migliore davanti al trono di Dio.
Ebbene, in P. Clemente, ben possiamo esaltare tutta la dignità, il merito e, perché no, il martirio dei Sacerdoti, cioè di coloro che assolvono a quella missione in cui i valori più alti e le esperienze più dure della vita cristiana trovano una garanzia di difesa e di soccorso. Ci riferiamo a lui come al campione e all'annunciatore evangelico della purezza, della solidarietà, della giustizia e della pace, come a colui che ha operato perché la virtù rifiorisse nelle famiglie come spiritualità dell'amore, nelle tradizioni della comunità come nobiltà e decoro di comportamento, nella società come richiamo all'ordine, al vero progresso.
E' uscito dalla scena di questo mondo P. Clemente, preoccupato che la sua malattia e la sua inazione fosse di disturbo a qualcuno, ma sempre felice nel vedere accorrere tante persone per un suo consiglio, per un suo semplice sorriso, e questo è lo stile del vero Sacerdote.
Non si ammalano mai i Sacerdoti, mai come gli altri: per loro la malattia e la morte sono sempre una chiamata a continuare l'opera della Redenzione e, se questo vale per tutti i cristiani, nel Sacerdote acquista quella solennità di crocifissione e di immolazione sull'altare che è specialissima e unica.
Il Sacerdote è consolatore degli afflitti, angelo degli agonizzanti e lui questo è stato, sempre la vittima volontaria di un dolore che può alleviare e allevia, di fatto, tutti gli altri, perché ne sceglie la parte più pesante per sé.
P. Clemente, sì, un frate che muore sul posto di combattimento, nella trincea della vita attiva, non certamente come negli anni della sua giovinezza, ma sempre un'attività che esprimeva il suo amore per il bene delle anime, ma soprattutto, non meno importante e sofferta, per l'offerta del suo dolore.
Niente lo toccò mai come la commozione di essere e di sentirsi al servizio delle anime. Aveva infatti compreso che, se la paternità spirituale deve essere completa, la cura delle anime deve essere insostituibile con il Consacrato, il Sacerdote, col Vescovo e il Papa. Padre e responsabile di tutto, pronto non ad essere servito ma a servire e dare la sua vita per molti, per tutti.
Quindi, la mano di P. Clemente non ha cessato di benedire, come il suo cuore, sì, ha cessato di battere per il ritmo del sangue, ma non certo dell'amore.
Con il suo esempio continua a predicare le parole sagge del Vangelo che non si smentiscono mai, dopo aver immolato tutte le sue forze come in un alone di incenso, dopo aver pregato proprio perché, intorno all'ovile, i lupi non avessero a rovinare il gregge. E, proprio per la forza imperitura del suo esempio di servo buono e fedele, possiamo e dobbiamo ripetere oggi e sempre le parole dell'Angelo che S. Luca dice nella Pasqua: Perché cercate un vivente tra i morti?
Sì, noi sentiamo la presenza di Padre Clemente che, dinanzi al trono di Dio, continua la sua Liturgia Celeste ma, insieme, ci ammonisce e ci richiama a quell'altissimo insegnamento di cui è capace la stessa morte.
Sì, lo sappiamo, la morte è dolorosa, a volte persino tragica per quelli che la subiscono e per quelli che vi assistono; sì, essa è una smagliatura della vita ed essa è percepita come una sciagura e un'ingiustizia, ma ci sono anche morti dolci e serene che appaiono come un compimento, il coronamento di una vita giusta, ben vissuta e feconda come è stata quella del nostro Padre Clemente, che ci ha rivelato l'insondabile bellezza della sua anima, la profondità della sua fede e l'incrollabile speranza, il suo grande amore a Dio, alla Chiesa e alle anime. Proprio nel suo letto di dolore, quando il pensiero della sua morte non gli era estraneo, ha dato prova di credere alla Resurrezione e, in questa fede, ha trovato la forza di ripetere la sua piena uniformità alla volontà di Dio. Padre Clemente non ha creduto a un'astrazione, a un'idea generale, ma in una Persona concreta e vivente, colui che crede in me, io lo risusciterò nell'ultimo giorno
: ha creduto in Gesù che è la Resurrezione e la Vita. Gesù, lo sappiamo, non è soltanto Colui che dà la Resurrezione e la Vita, è Lui stesso in persona la Resurrezione e la Vita ed è in questo insegnamento che è possibile trovare non tanto la chiave per interpretare il grande mistero della morte, quanto piuttosto le ragioni che devono ispirare il nostro comportamento cristiano dinanzi alla morte, comportamento che deve essere sostenuto dalla volontà di essere sempre con Cristo. Allora, la questione della vita, che supera la nostra morte, per noi è dunque la questione di vivere con Cristo, andare per lo stesso cammino per cui Lui è andato, tanto nella vita come nella morte. Ricordiamoci fratelli carissimi, apparteniamo al Signore.
Allora, se crediamo davvero che l'ultima parola non spetta alla morte, ma alla vita, proprio perché abbiamo la fede che ci dice che non siamo stati creati per la morte ma per la vita, noi lo crediamo perché ne avremo parte, anzi gia l'abbiamo, proprio perché partecipiamo, vogliamo partecipare alla vita di Cristo.
Nel mistero Pasquale, certo, la morte rimane sempre vera morte, ma è soltanto una tappa, una porta aperta sulla stessa eternità di Dio, è un avvenimento che porta alla Resurrezione e introduce alla vera Vita. E anche il dolore assume una dimensione nuova, a motivo della speranza che lo illumina e della certezza che, quanto viene interrotto dalla morte in questo tempo terrestre, ci viene restituito in maniera piena nel Regno di Dio per l'eternità. Ebbene, fratelli e sorelle carissimi, questa è la grande lezione che Padre Clemente ci ha lasciato, lezione non più affidata ad una parola detta o scritta, ma all'esempio della sua luminosa esistenza. E fare nostra questa lezione significherà esprimere a lui il nostro affetto, la nostra vera riconoscenza, nel modo che è l'unico e che egli si attende da noi.